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Greenwashing : come evitare di cadere nella trappola ?

Benvenuti nel magico mondo del greenwashing …

ABC del greenwashing

Il termine Greenwashing è una contrazione delle parole green (verde) e whitewashing che significa letteralmente «sbiancamento alla calce» e che si riferisce, in senso figurato, a qualsiasi procedimento di occultamento. 

Secondo la definizione data dall’Agenzia francese della Transizione ecologica, esso rappresenta «qualsiasi messaggio che possa indurre in errore il pubblico sulla reale qualità ecologica di un prodotto o di un servizio o più ampiamente sulla realtà della strategia di sviluppo sostenibile di un’organizzazione, indipendentemente dalle sue modalità di diffusione» [3].

Se il termine all’inizio indicava il semplice recupero pubblicitario dell’argomento ecologico da parte di alcune aziende o istituzioni, oggi è utilizzato in modo molto più ampio. Ha infatti superato il campo della comunicazione aziendale per diventare una strategia potente volta a respingere qualsiasi progetto di trasformazione sociale che rimetterebbe troppo violentemente in discussione gli stili di vita, le tecnologie o più in generale il funzionamento del capitalismo industriale [1].

Alla fine, fa correre il rischio di «mal interpretare le problematiche ecologiche nella nostra società» [2] e costituisce perciò una seria minaccia per gli sforzi intrapresi da coloro che si impegnano giorno dopo giorno per una società più ecologica.

Una pratica antica

La pratica del greenwashing emerge in risposta alle preoccupazioni ecologiche che si sono diffuse nella società dagli anni 1960 e 1970, sulla scia della pubblicazione del libro «Silent Spring» di Rachel Carson (1962).

Le grandi imprese, di fronte alle accuse esercitate nei loro confronti, hanno scelto in un primo tempo di negare la realtà dei problemi ecologici o la loro responsabilità in materia, cercando di screditare il pensiero e il movimento ecologista.

Dal 1980, le cose cambiano. Rendendosi conto che questa strategia si sarebbe rivelata controproducente, molte multinazionali decidono di cambiarla: abbandonano l’opposizione e abbracciano il recupero. Dandosi un’immagine ecologica sperano di inviare un messaggio positivo, dicendo in sostanza che hanno preso coscienza dei problemi e ora se ne occupano.

È in risposta a queste pratiche che la società civile si impadronisce del termine greenwashing. La parola nasce dalla penna di Jay Westerveld, ricercatore e ambientalista americano che la impiega in un saggio pubblicato nel 1986 sull’industria alberghiera[6]. Westerveld analizza la pratica degli albergatori di invitare gli ospiti a riutilizzare le lenzuola e gli asciugamani per motivi ecologici. La sua conclusione è che questa pratica è orientata verso la riduzione dei costi di lavanderia piuttosto che ad un limitare degli sprechi …

Successivamente, il termine viene ripreso nel contesto della critica del nucleare e si diffonde rapidamente, in particolare attraverso un articolo del 1991 sul greenwashing in Mother Jones, una rivista americana, e poi sulla prima «guida del greenwashing» pubblicato da Greenpeace nel 1992.

Molteplici forme e variazioni

Il greenwashing ispira e dà luogo a modalità di utilizzo diverse e variate, tra cui:

  • mezzi retorici: uso di termini vaghi che evocano l’ecologia (prodotti eco-friendly, 100% naturali, compostabili, sostenibili, biologici, a impatto zero, ecc.), l’uso di eufemismi per attenuare alcune realtà (prodotti fitosanitari invece che pesticidi), il ricorso a espressioni che associano un termine «ecologico» ad un termine o ad un’attività che viene contestata (biocarburanti, gas naturale).
  • l’uso di dichiarazioni o di promesse non verificabili (promessa di piantare alberi).
  • il ricorso a immagini e suoni rappresentati la “natura” che evocano la montagna, l’oceano, la foresta, con lo scopo di associare sempre al prodotto o all’azienda in questione l’idea del rispetto della natura.
  • l’uso di colori verdi nel logo o nel testo pubblicitario

Ricordiamo anche la tattica detta di «cattura dell’attenzione». È un procedimento molto diffuso che gli illusionisti conoscono bene. Consiste nell’attirare lo sguardo su ciò che si vuole mostrare per distogliere l’attenzione da ciò che si vuole nascondere. Si metterà in evidenza un aspetto o un’azione ecologica reale ma di poco impatto per evitare il resto (esempio: rifare l’imballaggio di un prodotto, quando è il prodotto stesso che pone problemi). Secondo Laure Teulières, storica dell’ecologia politica, “Il greenwashing ha permesso di creare un diversivo accontentandosi di mezze misure o di false soluzioni”.

“Il greenwashing ha permesso di creare un diversivo accontentandosi di mezze misure o di false soluzioni.” Laure Teulières

Si trovano anche aziende che sostengono cause ambientali, sponsorizzando associazioni o fondazioni ambientaliste per acquistare un’immagine virtuosa, pur continuando con pratiche con un impatto ambientale disastroso.

Tutte queste tecniche, anche se poco etiche, sono legali fintanto che non si usano argomenti fuorvianti. Se questo è il caso, possono essere paragonate alla pubblicità sleale, pratica condannabile in Svizzera (e nell’Unione europea) ai sensi della legge federale contro la concorrenza sleale (art.3). La Commissione per la lealtà, un’istituzione indipendente e neutrale fondata nel 1966 come organismo di autocontrollo della pubblicità, è abilitata a trattarne le denunce[4].

La diversificazione dei metodi e l’intensificazione della pratica del greenwashing portano come conseguenza alla copertura delle tracce:  diventa sempre più difficile per il pubblico orientarsi e riuscire a distinguere le argomentazioni fallaci dai veri impegni ecologici, misurabili e sinceri[5].

Se alcuni messaggi sono facilmente scopribili, altri sono più ambigui e le aziende giocano sul fatto che i consumatori non hanno il tempo di analizzare ogni annuncio in dettaglio così da indurli in errore.

La Fédération Romande des Consommateurs (FRC) ha identificato numerosi esempi di pubblicità colte in flagrante [1]. Di seguito trovate alcuni esempi :

  • un prosciutto bio di un grande distributore svizzero con una confezione che mostra una bella fattoria tradizionale situata in mezzo a pascoli verdi
  • un formaggio industriale a fette che sulla confezione rappresenta una medaglia con all’interno una mucca verde, che pascola liberamente
  • un insetticida tossico in una bottiglia verde con illustrazioni di fiori e verdure e la dicitura “naturale e bio”
  • un tè freddo di una grande marca francese con un’etichetta che pubblicizza gli ingredienti naturali e la neutralità climatica del prodotto.

La Federazione Romande dei Consumatori rintraccia questi abusi e li denuncia regolarmente : Greenwashing – Fédération romande des consommateurs (frc.ch) 

Altri esempi di Greenwashing sono stati denunciati sulle pagine del gionale della FRC:   Un matraquage publicitaire incessant – Fédération romande des consommateurs (frc.ch) 

[1] ALTWEGG Laurianne, « GREENWASHING : Un matraquage publicitaire incessant », Fédération Romande des Consommateur, 31 octobre 2023, disponible sur : https://www.frc.ch/d

Greenwashing su larga scala per manipolare il consumatore

Gli operatori del settore dei combustibili fossili sono un buon esempio di manipolazione su larga scala. Usano il greenwashing per promuovere soluzioni cosiddette ecologiche, il cui interesse principale è in realtà solo economico.

Questa strategia si traduce nella promozione di soluzioni tecnologiche cosiddette verdi (cattura del carbonio, manipolazione delle nuvole, rilancio dell’energia nucleare), invece di soluzioni più sostenibili, low tech o innovazioni sociali (telelavoro, diete con meno carne, zero rifiuti, agricoltura biologica di prossimità, ecc.) che consentirebbero la nascita di una società meno consumatrice di energie fossili.

Il gruppo francese Total, una delle aziende più inquinanti al mondo, eccelle in questo settore. Ribattezzato TotalEnergies nel 2021, ha investito massicciamente in una campagna di comunicazione che annuncia la sua nuova strategia climatica per raggiungere la neutralità climatica entro il 2050. Questa comunicazione gli ha portato ad avere delle denunce per greenwashing (i.e. pratiche commerciali ingannevoli) da parte di diverse ONG, tra cui Greenpeace. Secondo il quotidiano Libération, il gruppo si vanta nelle sue pubblicità di ambire alla neutralità climatica entro il 2050 mentre i combustibili fossili rappresentano ancora il 90% della sua attività e l’80% dei suoi investimenti. Inoltre, TotalEnergies vanta le proprietà climatiche del gas e degli agrocarburanti, presentati come energie di transizione quando invece sono fortemente emettitrici di gas a effetto serra»[7].

La paura popolare di perdere i vantaggi del «progresso» è alla base di questa strategia. Il progresso tecnico-scientifico ha infatti accompagnato lo sviluppo del mondo moderno, consentendo un miglioramento delle condizioni di vita senza precedenti nel corso degli ultimi secoli e continuando ad offrire nuove possibilità all’umanità soprattutto grazie ai progressi digitali. Come analizzato da Aurélien Berlan, Guillaume Carbou e Laure Teulière[8], «il greenwashing risponde a una domanda sociale profondamente radicata: proteggere l’idolo del progresso, la cui distruzione provocherebbe il crollo di molte illusioni che constituiscono la vita moderna».

Alla fine, il cittadino-consumatore si trova tra due ingiunzioni contraddittorie: da un lato, il discorso ecologista fa disperatamente appello alla sua coscienza per incitarlo a cambiare il suo modo di vivere, d’altro, un flusso ininterrotto di informazioni gli presenta soluzioni sostenibili che consentono un consumo illimitato (rinnovamento energetico, compensazione del carbonio, mobilità elettrica, ecc.).

Tuttavia, una qualche rinuncia a questo “progresso” è inevitabile, se si vuole contenere l’aumento delle temperature a livelli accettabili. In parole povere, bisognerebbe rivedere il nostro utilizzo dell’auto individuale, la frequenza nel cambiare il nostro smartphone, l’utilizzo dell’aereo, il consumo alimentare, ecc.

Non sarà facile superare la vecchia visione del mondo basata sulla crescita illimitata e sostituirla con una concezione che mette al primo posto il rispetto dei confini planetari. E mettere in discussione la società dell’abbondanza a cui siamo così abituati.

Non lasciarti ingannare dalle false soluzioni

In questo contesto, diventa sempre più importante non cadere nello specchietto per le allodole del greenwashing!

Il greenwashing è usato per ingannare e preservare il modello di società di consumo, per contrastare la mobilitazione e l’azione collettiva a favore di un vero cambio di rotta. Alimenta l’illusione che le modifiche ai margini basteranno piuttosto che cambiare modello», spiegano Aurélien Berlan, Guillaume Carbou e Laure Teulière[9].

Ci sembra essenziale impegnarsi per smascherare e combattere i falsi discorsi «rendendo finalmente udibile e visibile la moltitudine di alternative, ecologiche, solidali e democratiche che permetteranno di cambiare il corso delle cose» [10].

Dire chiaramente le cose è fondamentale – per esempio che l’auto elettrica, l’aereo a idrogeno, il riciclo non bastano a risolvere il problema – è la condizione per costruire il futuro su basi realistiche. Non ci sono soluzioni facili, ma per avere una possibilità di riuscirci è essenziale non nascondersi dietro a dei discorsi di marketing.

Cominciamo con la nostra scala, mostrando che ciò che funziona non ha necessariamente bisogno di ingegneri, nuovi investitori, strateghi della comunicazione… Possiamo fare scelte che avranno un impatto da oggi, come ridurre i nostri spostamenti, mangiare biologico e locale, meno carne, senza dimenticare, naturalmente, adottare l’approccio zero rifiuti!

5 trucchi per non farsi fregare!

Per cominciare, come consumatore, bisogna mantenere un senso critico e porsi le domande giuste di fronte a un argomento di vendita troppo bello per essere vero!

Secondo l’OFEV, i criteri principali per valutare la qualità delle informazioni ambientali sono:

  • La rilevanza: le informazioni devono riferirsi direttamente alle decisioni che influenzeranno
  • Una visione d’insieme pertinente: la considerazione di tutti gli impatti ambientali lungo l’intero ciclo di vita
  • L’affidabilità: le informazioni devono essere scientificamente fondate o certificate da terzi (fare riferimento ai marchi di qualità ecologica riconosciuti e controllati: EU Ecolabel, FSC, PEFC, Blue Angel, Craddle to Craddle, Bio, Demeter)
  • La trasparenza: le prove devono essere tracciabili e verificabili
  • Intelligibilità: le informazioni devono essere comprensibili per tutti

Lien : Critères de qualité applicables aux informations environnementales (Synthèse) (admin.ch)  

Nel suo «Libro bianco sul greenwashing»[1], Greenpeace offre alcuni consigli semplici e utili per non cadere nella trappola:

Il sito internet: se l’azienda si vanta sul suo sito di essere rispettosa dell’ambiente ma non fornisce alcun dato che illustra il suo intervento, questo dovrebbe allertarti. Altrimenti, le informazioni sarebbero facili da trovare.

Il discorso: la trasparenza è la chiave. Se l’azienda si descrive con un gergo incomprensibile o una parola su due è in inglese, non fidatevi, probabilmente stanno cercando di ingannarvi.

L’etichetta: se l’elenco degli ingredienti è molto lungo, il prodotto potrebbe non essere così rispettoso dell’ambiente come sostiene la confezione.

I colori: il verde non è sinonimo di impegno ecologico sincero. Se il logo dell’azienda è un piccolo albero ma non lavora nel giardinaggio, si possono avere dei dubbi.

Le certificazioni (labels): oltre a mentire sull’ottenimento di alcune certificazioni, alcuni marchi non esitano a metterne in evidenza alcune create da zero, senza un reale valore legale. È importante sapere quali sono le certificazioni di qualità ecologica riconosciute e controllate.


[1] “Il greenwashing: decodifica (Libro bianco sul greenwashing)”, Greenpeace Francia, settembre 2023, pagina 14, disponibile su: https://www.greenpeace.fr/livre-blanc-greenwashing/

Elenco non esaustivo dei principali certificati ambientali (labels)

EU Ecolabel (Ecoetichetta europea, certificato ecologico dell’Unione europea)

FSC (Forest Stewardship Council)

PEFC (Programma di Valutazione degli schemi di certificazione forestale) per le foreste e il legno

Ange bleu (certificato ambientale tedesco)

Craddle to craddle (certificazione che garantisce i principi ecologici di zero inquinamento e 100% di riutilizzo)

Bio Suisse (certificato dell’agricultura biologica svizzera)

Demeter (certificato per gli alimenti provenienti dall’agricultura biodinamica)


[1] Cette analyse est inspirée de celle développée par BERLAN Aurélien, CARBOU Guillaume, TEULIERES Laure dans le chapitre « Du verdissement de façade au verrouillage de l’avenir : formes et fonctions du greenwashing » tiré de l’ouvrage qu’ils ont co-dirigé « Greenwashing : manuel pour dépolluer le débat public », Paris, Ed. du Seuil, 2022.

[2] « Du verdissement de façade au verrouillage de l’avenir : formes et fonctions du greenwashing » dans BERLAN Aurélien (dir.), CARBOU Guillaume (dir.), TEULIERES Laure (dir.), Greenwashing : manuel pour dépolluer le débat public, Paris, Anthropocène Seuil, , 2022, page 10.

[3] Agence de la Transition écologique, « Comprendre le greenwashing », disponible sur : https://communication-responsable.ademe.fr/comprendre-le-greenwashing

[4] RTS, émission « On en parle» du 5 avril 2023, disponible sur : https://www.rts.ch/audio-podcast/2023/audio/comment-reconnaitre-et-denoncer-une-publicite-mensongere-26115386.html?id=26115386

[5] Analyse inspirée de la Fédération Romande des Consommateur, « Greenwashing », 23 mars 2023, disponible sur : https://www.frc.ch/dossiers/greenwashing-dans-le-viseur-de-la-frc/

[6] Les versions divergent toutefois à ce sujet.

[7] DISDERO Eléonore, « Justice climatique : TotalEnergies au cœur de plusieurs batailles judiciaires », Libération, 3 octobre 2023, disponible sur : https://www.liberation.fr/environnement/climat/justice-climatique-totalenergies-au-coeur-de-plusieurs-batailles-judiciaires-20231003_CLVCDJG4EJGFPKAVNMO6YCRMAU/?redirected=1

[8] « Du verdissement de façade au verrouillage de l’avenir : formes et fonctions du greenwashing » dans BERLAN Aurélien (dir.), CARBOU Guillaume (dir.), TEULIERES Laure (dir.), Greenwashing : manuel pour dépolluer le débat public, op.cit., page 25.

[9] « Du verdissement de façade au verrouillage de l’avenir : formes et fonctions du greenwashing » dans BERLAN Aurélien (dir.), CARBOU Guillaume (dir.), TEULIERES Laure (dir.), Greenwashing : manuel pour dépolluer le débat public, op.cit., page 31.

[10] « Du verdissement de façade au verrouillage de l’avenir : formes et fonctions du greenwashing » dans BERLAN Aurélien (dir.), CARBOU Guillaume (dir.), TEULIERES Laure (dir.), Greenwashing : manuel pour dépolluer le débat public, op.cit., page 33.