ZeroWaste Switzerland

Non-profit association inspiring everyone in Switzerland to reduce waste.

Close search+

Guide pratique de réduction des déchets à l’attention des communes de COSEDEC

La Suisse a l’un des plus hauts taux de déchets par habitant au monde, ce qui met une pression énorme sur les écosystèmes. Il est donc crucial de repenser nos modes de consommation et de gestion des déchets pour préserver les ressources. Avec des législations évoluant vers une gestion plus responsable, la Coopérative romande de sensibilisation à la gestion des déchets (COSEDEC) a ainsi édité un guide proposant des solutions à l’échelle communale pour encourager la réduction des déchets, tant individuelle que collective.

Le guide aborde ces principaux enjeux :

  1. Déchets organiques et gaspillage alimentaire : Ils représentent encore 35% des poubelles.
  2. Consommation responsable : Réduction, réemploi et réparation sont essentiels pour prévenir les déchets.
  3. Lutte contre le littering : L’abandon sauvage des déchets est un problème majeur.

Il propose des actions concrètes pour les ménages, les écoles, les commerces et l’administration, en mettant en avant des projets inspirants de communes romandes engagées dans la prévention des déchets.

Vous pouvez le trouvez sur la page de COSEDEC dédiées aux guides communaux, ainsi qu’ici.

Greenwashing : come evitare di cadere nella trappola ?

Benvenuti nel magico mondo del greenwashing …

ABC del greenwashing

Il termine Greenwashing è una contrazione delle parole green (verde) e whitewashing che significa letteralmente «sbiancamento alla calce» e che si riferisce, in senso figurato, a qualsiasi procedimento di occultamento. 

Secondo la definizione data dall’Agenzia francese della Transizione ecologica, esso rappresenta «qualsiasi messaggio che possa indurre in errore il pubblico sulla reale qualità ecologica di un prodotto o di un servizio o più ampiamente sulla realtà della strategia di sviluppo sostenibile di un’organizzazione, indipendentemente dalle sue modalità di diffusione» [3].

Se il termine all’inizio indicava il semplice recupero pubblicitario dell’argomento ecologico da parte di alcune aziende o istituzioni, oggi è utilizzato in modo molto più ampio. Ha infatti superato il campo della comunicazione aziendale per diventare una strategia potente volta a respingere qualsiasi progetto di trasformazione sociale che rimetterebbe troppo violentemente in discussione gli stili di vita, le tecnologie o più in generale il funzionamento del capitalismo industriale [1].

Alla fine, fa correre il rischio di «mal interpretare le problematiche ecologiche nella nostra società» [2] e costituisce perciò una seria minaccia per gli sforzi intrapresi da coloro che si impegnano giorno dopo giorno per una società più ecologica.

Una pratica antica

La pratica del greenwashing emerge in risposta alle preoccupazioni ecologiche che si sono diffuse nella società dagli anni 1960 e 1970, sulla scia della pubblicazione del libro «Silent Spring» di Rachel Carson (1962).

Le grandi imprese, di fronte alle accuse esercitate nei loro confronti, hanno scelto in un primo tempo di negare la realtà dei problemi ecologici o la loro responsabilità in materia, cercando di screditare il pensiero e il movimento ecologista.

Dal 1980, le cose cambiano. Rendendosi conto che questa strategia si sarebbe rivelata controproducente, molte multinazionali decidono di cambiarla: abbandonano l’opposizione e abbracciano il recupero. Dandosi un’immagine ecologica sperano di inviare un messaggio positivo, dicendo in sostanza che hanno preso coscienza dei problemi e ora se ne occupano.

È in risposta a queste pratiche che la società civile si impadronisce del termine greenwashing. La parola nasce dalla penna di Jay Westerveld, ricercatore e ambientalista americano che la impiega in un saggio pubblicato nel 1986 sull’industria alberghiera[6]. Westerveld analizza la pratica degli albergatori di invitare gli ospiti a riutilizzare le lenzuola e gli asciugamani per motivi ecologici. La sua conclusione è che questa pratica è orientata verso la riduzione dei costi di lavanderia piuttosto che ad un limitare degli sprechi …

Successivamente, il termine viene ripreso nel contesto della critica del nucleare e si diffonde rapidamente, in particolare attraverso un articolo del 1991 sul greenwashing in Mother Jones, una rivista americana, e poi sulla prima «guida del greenwashing» pubblicato da Greenpeace nel 1992.

Molteplici forme e variazioni

Il greenwashing ispira e dà luogo a modalità di utilizzo diverse e variate, tra cui:

  • mezzi retorici: uso di termini vaghi che evocano l’ecologia (prodotti eco-friendly, 100% naturali, compostabili, sostenibili, biologici, a impatto zero, ecc.), l’uso di eufemismi per attenuare alcune realtà (prodotti fitosanitari invece che pesticidi), il ricorso a espressioni che associano un termine «ecologico» ad un termine o ad un’attività che viene contestata (biocarburanti, gas naturale).
  • l’uso di dichiarazioni o di promesse non verificabili (promessa di piantare alberi).
  • il ricorso a immagini e suoni rappresentati la “natura” che evocano la montagna, l’oceano, la foresta, con lo scopo di associare sempre al prodotto o all’azienda in questione l’idea del rispetto della natura.
  • l’uso di colori verdi nel logo o nel testo pubblicitario

Ricordiamo anche la tattica detta di «cattura dell’attenzione». È un procedimento molto diffuso che gli illusionisti conoscono bene. Consiste nell’attirare lo sguardo su ciò che si vuole mostrare per distogliere l’attenzione da ciò che si vuole nascondere. Si metterà in evidenza un aspetto o un’azione ecologica reale ma di poco impatto per evitare il resto (esempio: rifare l’imballaggio di un prodotto, quando è il prodotto stesso che pone problemi). Secondo Laure Teulières, storica dell’ecologia politica, “Il greenwashing ha permesso di creare un diversivo accontentandosi di mezze misure o di false soluzioni”.

“Il greenwashing ha permesso di creare un diversivo accontentandosi di mezze misure o di false soluzioni.” Laure Teulières

Si trovano anche aziende che sostengono cause ambientali, sponsorizzando associazioni o fondazioni ambientaliste per acquistare un’immagine virtuosa, pur continuando con pratiche con un impatto ambientale disastroso.

Tutte queste tecniche, anche se poco etiche, sono legali fintanto che non si usano argomenti fuorvianti. Se questo è il caso, possono essere paragonate alla pubblicità sleale, pratica condannabile in Svizzera (e nell’Unione europea) ai sensi della legge federale contro la concorrenza sleale (art.3). La Commissione per la lealtà, un’istituzione indipendente e neutrale fondata nel 1966 come organismo di autocontrollo della pubblicità, è abilitata a trattarne le denunce[4].

La diversificazione dei metodi e l’intensificazione della pratica del greenwashing portano come conseguenza alla copertura delle tracce:  diventa sempre più difficile per il pubblico orientarsi e riuscire a distinguere le argomentazioni fallaci dai veri impegni ecologici, misurabili e sinceri[5].

Se alcuni messaggi sono facilmente scopribili, altri sono più ambigui e le aziende giocano sul fatto che i consumatori non hanno il tempo di analizzare ogni annuncio in dettaglio così da indurli in errore.

La Fédération Romande des Consommateurs (FRC) ha identificato numerosi esempi di pubblicità colte in flagrante [1]. Di seguito trovate alcuni esempi :

  • un prosciutto bio di un grande distributore svizzero con una confezione che mostra una bella fattoria tradizionale situata in mezzo a pascoli verdi
  • un formaggio industriale a fette che sulla confezione rappresenta una medaglia con all’interno una mucca verde, che pascola liberamente
  • un insetticida tossico in una bottiglia verde con illustrazioni di fiori e verdure e la dicitura “naturale e bio”
  • un tè freddo di una grande marca francese con un’etichetta che pubblicizza gli ingredienti naturali e la neutralità climatica del prodotto.

La Federazione Romande dei Consumatori rintraccia questi abusi e li denuncia regolarmente : Greenwashing – Fédération romande des consommateurs (frc.ch) 

Altri esempi di Greenwashing sono stati denunciati sulle pagine del gionale della FRC:   Un matraquage publicitaire incessant – Fédération romande des consommateurs (frc.ch) 

[1] ALTWEGG Laurianne, « GREENWASHING : Un matraquage publicitaire incessant », Fédération Romande des Consommateur, 31 octobre 2023, disponible sur : https://www.frc.ch/d

Greenwashing su larga scala per manipolare il consumatore

Gli operatori del settore dei combustibili fossili sono un buon esempio di manipolazione su larga scala. Usano il greenwashing per promuovere soluzioni cosiddette ecologiche, il cui interesse principale è in realtà solo economico.

Questa strategia si traduce nella promozione di soluzioni tecnologiche cosiddette verdi (cattura del carbonio, manipolazione delle nuvole, rilancio dell’energia nucleare), invece di soluzioni più sostenibili, low tech o innovazioni sociali (telelavoro, diete con meno carne, zero rifiuti, agricoltura biologica di prossimità, ecc.) che consentirebbero la nascita di una società meno consumatrice di energie fossili.

Il gruppo francese Total, una delle aziende più inquinanti al mondo, eccelle in questo settore. Ribattezzato TotalEnergies nel 2021, ha investito massicciamente in una campagna di comunicazione che annuncia la sua nuova strategia climatica per raggiungere la neutralità climatica entro il 2050. Questa comunicazione gli ha portato ad avere delle denunce per greenwashing (i.e. pratiche commerciali ingannevoli) da parte di diverse ONG, tra cui Greenpeace. Secondo il quotidiano Libération, il gruppo si vanta nelle sue pubblicità di ambire alla neutralità climatica entro il 2050 mentre i combustibili fossili rappresentano ancora il 90% della sua attività e l’80% dei suoi investimenti. Inoltre, TotalEnergies vanta le proprietà climatiche del gas e degli agrocarburanti, presentati come energie di transizione quando invece sono fortemente emettitrici di gas a effetto serra»[7].

La paura popolare di perdere i vantaggi del «progresso» è alla base di questa strategia. Il progresso tecnico-scientifico ha infatti accompagnato lo sviluppo del mondo moderno, consentendo un miglioramento delle condizioni di vita senza precedenti nel corso degli ultimi secoli e continuando ad offrire nuove possibilità all’umanità soprattutto grazie ai progressi digitali. Come analizzato da Aurélien Berlan, Guillaume Carbou e Laure Teulière[8], «il greenwashing risponde a una domanda sociale profondamente radicata: proteggere l’idolo del progresso, la cui distruzione provocherebbe il crollo di molte illusioni che constituiscono la vita moderna».

Alla fine, il cittadino-consumatore si trova tra due ingiunzioni contraddittorie: da un lato, il discorso ecologista fa disperatamente appello alla sua coscienza per incitarlo a cambiare il suo modo di vivere, d’altro, un flusso ininterrotto di informazioni gli presenta soluzioni sostenibili che consentono un consumo illimitato (rinnovamento energetico, compensazione del carbonio, mobilità elettrica, ecc.).

Tuttavia, una qualche rinuncia a questo “progresso” è inevitabile, se si vuole contenere l’aumento delle temperature a livelli accettabili. In parole povere, bisognerebbe rivedere il nostro utilizzo dell’auto individuale, la frequenza nel cambiare il nostro smartphone, l’utilizzo dell’aereo, il consumo alimentare, ecc.

Non sarà facile superare la vecchia visione del mondo basata sulla crescita illimitata e sostituirla con una concezione che mette al primo posto il rispetto dei confini planetari. E mettere in discussione la società dell’abbondanza a cui siamo così abituati.

Non lasciarti ingannare dalle false soluzioni

In questo contesto, diventa sempre più importante non cadere nello specchietto per le allodole del greenwashing!

Il greenwashing è usato per ingannare e preservare il modello di società di consumo, per contrastare la mobilitazione e l’azione collettiva a favore di un vero cambio di rotta. Alimenta l’illusione che le modifiche ai margini basteranno piuttosto che cambiare modello», spiegano Aurélien Berlan, Guillaume Carbou e Laure Teulière[9].

Ci sembra essenziale impegnarsi per smascherare e combattere i falsi discorsi «rendendo finalmente udibile e visibile la moltitudine di alternative, ecologiche, solidali e democratiche che permetteranno di cambiare il corso delle cose» [10].

Dire chiaramente le cose è fondamentale – per esempio che l’auto elettrica, l’aereo a idrogeno, il riciclo non bastano a risolvere il problema – è la condizione per costruire il futuro su basi realistiche. Non ci sono soluzioni facili, ma per avere una possibilità di riuscirci è essenziale non nascondersi dietro a dei discorsi di marketing.

Cominciamo con la nostra scala, mostrando che ciò che funziona non ha necessariamente bisogno di ingegneri, nuovi investitori, strateghi della comunicazione… Possiamo fare scelte che avranno un impatto da oggi, come ridurre i nostri spostamenti, mangiare biologico e locale, meno carne, senza dimenticare, naturalmente, adottare l’approccio zero rifiuti!

5 trucchi per non farsi fregare!

Per cominciare, come consumatore, bisogna mantenere un senso critico e porsi le domande giuste di fronte a un argomento di vendita troppo bello per essere vero!

Secondo l’OFEV, i criteri principali per valutare la qualità delle informazioni ambientali sono:

  • La rilevanza: le informazioni devono riferirsi direttamente alle decisioni che influenzeranno
  • Una visione d’insieme pertinente: la considerazione di tutti gli impatti ambientali lungo l’intero ciclo di vita
  • L’affidabilità: le informazioni devono essere scientificamente fondate o certificate da terzi (fare riferimento ai marchi di qualità ecologica riconosciuti e controllati: EU Ecolabel, FSC, PEFC, Blue Angel, Craddle to Craddle, Bio, Demeter)
  • La trasparenza: le prove devono essere tracciabili e verificabili
  • Intelligibilità: le informazioni devono essere comprensibili per tutti

Lien : Critères de qualité applicables aux informations environnementales (Synthèse) (admin.ch)  

Nel suo «Libro bianco sul greenwashing»[1], Greenpeace offre alcuni consigli semplici e utili per non cadere nella trappola:

Il sito internet: se l’azienda si vanta sul suo sito di essere rispettosa dell’ambiente ma non fornisce alcun dato che illustra il suo intervento, questo dovrebbe allertarti. Altrimenti, le informazioni sarebbero facili da trovare.

Il discorso: la trasparenza è la chiave. Se l’azienda si descrive con un gergo incomprensibile o una parola su due è in inglese, non fidatevi, probabilmente stanno cercando di ingannarvi.

L’etichetta: se l’elenco degli ingredienti è molto lungo, il prodotto potrebbe non essere così rispettoso dell’ambiente come sostiene la confezione.

I colori: il verde non è sinonimo di impegno ecologico sincero. Se il logo dell’azienda è un piccolo albero ma non lavora nel giardinaggio, si possono avere dei dubbi.

Le certificazioni (labels): oltre a mentire sull’ottenimento di alcune certificazioni, alcuni marchi non esitano a metterne in evidenza alcune create da zero, senza un reale valore legale. È importante sapere quali sono le certificazioni di qualità ecologica riconosciute e controllate.


[1] “Il greenwashing: decodifica (Libro bianco sul greenwashing)”, Greenpeace Francia, settembre 2023, pagina 14, disponibile su: https://www.greenpeace.fr/livre-blanc-greenwashing/

Elenco non esaustivo dei principali certificati ambientali (labels)

EU Ecolabel (Ecoetichetta europea, certificato ecologico dell’Unione europea)

FSC (Forest Stewardship Council)

PEFC (Programma di Valutazione degli schemi di certificazione forestale) per le foreste e il legno

Ange bleu (certificato ambientale tedesco)

Craddle to craddle (certificazione che garantisce i principi ecologici di zero inquinamento e 100% di riutilizzo)

Bio Suisse (certificato dell’agricultura biologica svizzera)

Demeter (certificato per gli alimenti provenienti dall’agricultura biodinamica)


[1] Cette analyse est inspirée de celle développée par BERLAN Aurélien, CARBOU Guillaume, TEULIERES Laure dans le chapitre « Du verdissement de façade au verrouillage de l’avenir : formes et fonctions du greenwashing » tiré de l’ouvrage qu’ils ont co-dirigé « Greenwashing : manuel pour dépolluer le débat public », Paris, Ed. du Seuil, 2022.

[2] « Du verdissement de façade au verrouillage de l’avenir : formes et fonctions du greenwashing » dans BERLAN Aurélien (dir.), CARBOU Guillaume (dir.), TEULIERES Laure (dir.), Greenwashing : manuel pour dépolluer le débat public, Paris, Anthropocène Seuil, , 2022, page 10.

[3] Agence de la Transition écologique, « Comprendre le greenwashing », disponible sur : https://communication-responsable.ademe.fr/comprendre-le-greenwashing

[4] RTS, émission « On en parle» du 5 avril 2023, disponible sur : https://www.rts.ch/audio-podcast/2023/audio/comment-reconnaitre-et-denoncer-une-publicite-mensongere-26115386.html?id=26115386

[5] Analyse inspirée de la Fédération Romande des Consommateur, « Greenwashing », 23 mars 2023, disponible sur : https://www.frc.ch/dossiers/greenwashing-dans-le-viseur-de-la-frc/

[6] Les versions divergent toutefois à ce sujet.

[7] DISDERO Eléonore, « Justice climatique : TotalEnergies au cœur de plusieurs batailles judiciaires », Libération, 3 octobre 2023, disponible sur : https://www.liberation.fr/environnement/climat/justice-climatique-totalenergies-au-coeur-de-plusieurs-batailles-judiciaires-20231003_CLVCDJG4EJGFPKAVNMO6YCRMAU/?redirected=1

[8] « Du verdissement de façade au verrouillage de l’avenir : formes et fonctions du greenwashing » dans BERLAN Aurélien (dir.), CARBOU Guillaume (dir.), TEULIERES Laure (dir.), Greenwashing : manuel pour dépolluer le débat public, op.cit., page 25.

[9] « Du verdissement de façade au verrouillage de l’avenir : formes et fonctions du greenwashing » dans BERLAN Aurélien (dir.), CARBOU Guillaume (dir.), TEULIERES Laure (dir.), Greenwashing : manuel pour dépolluer le débat public, op.cit., page 31.

[10] « Du verdissement de façade au verrouillage de l’avenir : formes et fonctions du greenwashing » dans BERLAN Aurélien (dir.), CARBOU Guillaume (dir.), TEULIERES Laure (dir.), Greenwashing : manuel pour dépolluer le débat public, op.cit., page 33.

ZeroWaste Switzerland en entreprise

Conférences & ateliers

ZeroWaste Switzerland est intervenue auprès des équipes de Ferring Pharmaceuticals à Saint-Prex (VD) pour une conférence dans le cadre de la journée de la Terre, le 22 avril dernier. 

Une présentation des enjeux liés à la réduction des déchets, notamment plastiques, au-delà des idées reçues. Car oui, la Suisse se classe au 5e rang des plus mauvais élèves en Europe en termes de production de déchets/hab./an et, oui, malgré un taux de collecte très élevé, ce sont seulement 15% des déchets plastiques qui sont effectivement recyclés ! Dans le cadre de son engagement à contribuer à la protection de la planète, Ferring s’engage dans une utilisation optimisée des ressources en allongeant par exemple la durée de vie de contenants et palettes, largement utilisés pour le transport. 

Ferring surveille en permanence ses flux de déchets, en s’efforçant de réduire leur volume de production globale et d’améliorer les méthodes d’élimination, conformément à la hiérarchie des déchets.   

Des changements qui sont source d’économies pour les entreprises, et au cœur d’une politique RSE – Responsabilité Sociétale des Entreprises – positive, aussi bien pour l’image de l’entreprise, que vectrice d’attractivité pour ses employés.  

ZeroWaste Switzerland propose plusieurs services pour vous accompagner dans 3 aspects de la démarche : 

  • vous engager : via un diagnostic de votre site et de vos pratiques, l’organisation de conférences/débats, ou la conception d’un kit de communication pour présenter la démarche à vos collaborateurs 
  • agir concrètement via des actions Zéro Déchet sur site, des ateliers et des mesures d’accompagnement 
  • mesurer et améliorer vos performances via la définition d’objectifs durables et la conception d’outils d’évaluation personnalisés 

Contactez-nous dès à présent pour définir et lancer votre projet ZeroWaste : info@zerowasteswitzerland.ch 

L’Europe en train : conseils et expériences !  

 

Pourquoi prendre le train plutôt que l’avion ?

  • Le transport est responsable de 30% de nos émissions globales de CO2 

30% des émissions globales de CO2 sont liées à nos modes de transport et impactent donc considérablement le réchauffement climatique, comme le souligne le rapport du GIEC, le Groupe d’Experts Intergouvernemental sur l’Evolution du Climat. 

Pour pouvoir stabiliser ce réchauffement climatique, les Accords de Paris ont fixé un objectif d’émission de CO2 de 2 tonnes par personne sur Terre. L’émission de CO2 moyenne d’un Suisse à ce jour étant d’environ 12 tonnes, la marge de progrès est large ! 

  • Le train : une solution gagnant-gagnant 

Le voyage en train représenterait 1% des 2 tonnes de CO2, selon les accords de Paris. Alors que l’avion en représenterait 17% ! L’avion consomme par exemple, 20 fois plus de CO2 que le train pour un parcours Zurich-Barcelone. (source : www.lowtrip.fr

Une bonne raison pour privilégier le train ! 

  • Plus de temps utile  

Certes la durée du trajet en train est plus longue que celle de l’avion. Mais c’est sans compter la perte de temps cachée autour du trajet. Car prendre l’avion implique d’accéder à l’aéroport, éloigné des centres-villes (via une navette, les transports en commun ou en voiture, avec les frais de parking en plus !), mais aussi de prévoir un temps avant le décollage et après l’atterrissage.  

Selon une étude de la Haute école des sciences appliquées de Zurich (ZHAW), les temps « périphériques » aux temps de trajet seraient de 157 minutes pour l’avion contre 32 minutes pour le train.  

Conséquemment, un voyage en avion ne dure en général pas moins de 5 heures, même pour les vols courts. Voir l’étude : Temps de trajet train vs. avion – ATE L’Europe en train 

Le temps « utile » que l’on peut passer à travailler, lire, se reposer est très largement entrecoupé de contrôles, de temps d’attente, de douanes dans l’aéroport. Alors qu’une fois installé dans le train, nous pouvons utiliser ce temps utile, parfois même avec internet ! Et si on ne veut pas travailler, on peut toujours regarder le paysage défiler ! Un argument très souvent avancé par les adeptes du train qui considèrent le trajet comme faisant déjà partie du voyage ! 

Les trains de nuit ne peuvent certes pas rivaliser en termes de temps de trajet. En contrepartie, la nuit est incluse. Une économie de temps et d’argent ! 

Trouver sa destination et ses billets

Réserver à l’avance vos billets permet de bénéficier de tarifs plus attractifs. Pour s’y retrouver entre les différentes compagnies ferroviaires, plusieurs outils de planification de voyage peuvent vous aider :  

  1. Back-on-track.eu :  

Ce site référence l’ensemble des lignes de trains de nuits en Europe. Les connexions sont nombreuses de l’Espagne jusqu’à la Norvège : (https://back-on-track.eu/night-train-map/) 

Chaque compagnie est représentée par une couleur , ce qui vous permet de savoir sur quel site vous pourrez réserver vos billets. Le site vous conseille également sur la méthode pour réserver vos billets : This is how it works: Book tickets for night trains in Europe – Back-on-Track

  1. Chronotrains.com :  

Ce site vous permet de voir jusqu’où vous pouvez aller suivant un temps de trajet donné : ci-dessous d’exemple des différents trajets disponibles à moins de 8h de Zurich.  

L’outil redirige également vers les sites de réservations des billets , une fois la destination sélectionnée. Très pratique ! 

https://www.chronotrains.com/fr

  1. Direct train connection Europe 

Un outil précieux qui permet de voir toutes les gares accessibles sans changement depuis votre gare de départ. https://direkt.bahn.guru/  

Ci-contre, un exemple avec la gare de Zurich.  

  1. Interrail :

Le pass Interrail permet de créer l’itinéraire de son choix, et de voyager librement à bord des trains européens sans réservation obligatoire. Une formule très intéressante financièrement si vous avez décidé de faire plusieurs étapes. Il est très flexible et propose de nombreuses offres selon vos souhaits de voyage. 

Exemple : Pour un Zurich-Stockholm, avec une pause à Hambourg, Interrail propose un tarif de 21€50 (tarif pour un départ le vendredi 13 septembre 2024 prix observé le 23/05/2024).  

  1. Sites utiles pour la réservation de billets :  

Si les 4 premiers outils ne vous ont pas permis de réserver vos billets vers la destination souhaitée, voici encore 3 liens qui pourraient vous guider : 

  • Night Jet : la société qui gère la majorité des trains de nuit au départ de la Suisse, où vous pourrez réserver vos billets. 
  • TrainLine : ce site rassemble les billets de nombreuses compagnies et vous permet de réserver vos billets sur une seule plateforme. Leur application mobile est également très pratique pendant votre voyage.
  • Tuto youtube pour voyage en train : Le youtubeur Bruno Maltor donne ses meilleurs conseils pour voyager en train en Europe.

Trois voyages testés et approuvés par la communauté ZeroWaste Switzerland

  1. La côte Belge par Emilie et sa tribu 

Qui ? 6 adultes et 1 enfant  

Où ? Ostende, sur la côte Belge  

Trajet : Colmar-Paris-Bruges (Train TGV/Lyria+ Métro +Train TGV/Lyria+Bus), puis Bruges-Ostende (Train TGV/Lyria) 

Ils ont aimé : passer du temps en famille, sans stress lié aux embouteillages. La liberté de circulation dans le train pour le jeune fils d’Emilie, la sieste pour toute la famille pendant le trajet pour arriver frais et prêts à profiter pleinement du séjour 

Bonus : une fois sur place, ils se sont déplacés uniquement en tramway : tram depuis Ostende vers tous les villages de la côte (total 2h20 de bout en bout) – plages. 7€/jour/personne 

Coût total : ~300€/adulte/aller-retour 

  1. Un week-end entre copines à Amsterdam pour Léa 

Qui ? 1 adulte 

Où ? Amsterdam en train de nuit 

Trajets : 

Aller : La Chaux de fonds – Bâle – Amsterdam – 22h > 8h30 le lendemain 

Retour : Amsterdam – Bâle – St Imier – 21h > 8h12 le lendemain 

Elle a aimé : le confort de la cabine (draps, bouteille d’eau, prise électrique et petit déjeuner compris !).  

Peut mieux faire : les trains sont parfois vieux et n’ont pas d’écrans pour comprendre les prochaines stations.  

Coût total : 180 CHF Aller-retour (Conditions : train couchette – 1 cabine de 4 femmes) 

  1. Un voyage à Vienne en famille pour Marjorie 

Qui ? 2 adultes et 2 jeunes enfants 

Ou ? Vienne en train de nuit 

Trajets :  

Aller : La Chaux de fonds – Bienne – Zurich – Vienne – 19h à 7h30 le lendemain 

Retour : Vienne – Zurich – Bienne – La Chaux-de-Fonds – 22h à 9h le lendemain 

Ils ont aimé :  économiser 2 nuits d’hôtels ! La facilité, la sécurité et le petit déjeuner !  

Peut mieux faire : couchette non adaptée et très inconfortable pour le mari de Marjorie qui est très grand !  

Coût total : 700 CHF Aller-retour pour 4 (Conditions : train couchette – 1 cabine pour nous 4) 

En recherche d’inspiration ?

Voici quelques sites et livres pour d’autres idées d’évasion en train :  

  • Voyages Zero Carbone (ou presque), qui vous glisse de nombreuses idées d’aventures sans avion ni voiture ! 

  • Voyages en train en Europe – Lonely Planet 

Pour aller plus loin

Calculer des émissions de gaz à effet de serre de vos transports :   

Comparer le train et l’avion :  

Calculer les efforts à faire pour compenser un vol en avion :  

https://www.lemonde.fr/les-decodeurs/article/2023/12/05/vous-voulez-compenser-votre-vol-en-avion-par-des-ecogestes-voici-combien-de-temps-cela-vous-prendra_6204046_4355770.html

Zero Waste Europe lance sa campagne #ForkToFarm

Qu’en est-il de la loi suisse au sujet des déchets organiques? Voilà ce que disent les articles 10, 12 et 13 de l’Ordonnance sur la prévention et l’élimination des déchets (OLED).

Les cantons veillent à ce que les fractions recyclables des déchets urbains telles que le verre, le papier, le carton, les métaux, les déchets verts et les textiles soient collectées séparément dans la mesure du possible et fassent l’objet d’une valorisation matière (art. 10, 12 et 13 OLED) (collectes obligatoires).

Au sein de l’Union Européenne, il en va autrement. Depuis le 1er janvier 2024, les États membres sont désormais tenus de collecter séparément les biodéchets. Zero Waste Europe lance sa campagne #ForkToFarm visant à sensibiliser à la nécessité et aux avantages de la mise en œuvre de modèles efficaces de gestion des biodéchets au niveau local.

Selon les estimations actuelles, seuls 18 % des biodéchets générés dans l’UE sont actuellement capturés et traités efficacement. Et ce, malgré une connaissance généralisée des avantages environnementaux et économiques qu’une bonne gestion des matières organiques apporte aux communautés (réduction du méthane, amélioration de la santé des sols, recyclage plus optimisé et réduction des coûts pour les villes).

Zero Waste Europe souhaite sensibiliser à la manière de collecter et de gérer correctement les biodéchets au niveau local et aider les municipalités à le faire correctement. Il y a en effet un risque croissant que les municipalités optent pour des modèles peu onéreux et faciles qui atteignent le seuil requis de « collecte séparée » des déchets organiques, les plus courants étant les grands conteneurs/bacs de rue que les municipalités choisissent parfois.

A cet effet, elle a édité un article avec des lignes directrices et des données clés sur les performances de divers systèmes de collectes de biodéchets en Europe. Ces données démontrent la plus-value du modèle de collecte porte-à-porte, et mettent en lumière des recommandations stratégiques pour une mise en oeuvre optimisée.

Pour télécharger ce guide, disponible en anglais, français, italien, portugais, ukrainien, estonien et hongrois, rendez-vous ici.

Étude de consommation 2023

En 2023, nous avons conçu un questionnaire d’évaluation des pratiques d’un panel afin d’identifier les changements de comportement les plus faciles et les plus difficiles à mettre en place.

L’objectif de cette étude est d’évaluer le niveau de maturité d’une population adulte, en charge du ménage.

Résultats

1 – Le panel

Au total, 458 personnes ont participé au sondage, dont une majorité de femmes.

Le mouvement Zéro Déchet est historiquement porté par des femmes. Ce chiffre est cohérent avec les participations à nos activités.

2 – Les courses

Devenir végétarien est considéré comme le geste le plus difficile.

34,1% ont répondu que cela est difficile ou impossible pour eux.

Les gestes plus faciles comme « prendre ses sacs et boîtes avant de faire les courses » ou « acheter local et bio » sont adoptés par 90% des personnes sondées.

3 – En cuisine

« Simplifier son matériel de cuisine » reste le geste le plus difficile pour 20% des personnes.

Les autres actions, basées sur du bon sens, sont déjà bien mises en place avec un taux de 60% à plus de 90%.

Les actions visant à réduire le jetable (films plastiques), tout comme celles axées sur l’économie d’énergie, sont majoritairement mises en œuvre dans la cuisine. Cependant, leur adoption est moins répandue que les actions liées aux achats, avec environ 80% d’application, principalement de manière partielle. L’énergie, pourtant vectrice de pollution, est parfois oubliée dans la démarche Zéro Déchet.

L’action la plus difficile est « Se passer du congélateur ». Moins de 15% y parviennent.

4 – La salle de bain et l’entretien de la maison

Tous les gestes sont partiellement ou complètement mis en place pour près de 80% des sondés.

Entre 5 et 20% des personnes trouvent difficiles les gestes tels que « acheter des produits de toilette solides ou issus d’ingrédients naturels ou bio, installer des économiseurs d’eau, utiliser du vinaigre et du bicarbonate pour le ménage ».

5 – Les vêtements

Les bonnes pratiques de sobriété de consommation, de réparation, et d’achat d’occasion sont mises en place par plus de 80% des participants.

Le plus difficile reste « réparer les chaussures » avec 17% des réponses, suivi de « renoncer aux soldes » par 13% et « acheter de seconde main ainsi que veiller à l’origine et à la matière des vêtements achetés neufs », par 11% des sondés.

6 – La technologie

Moins souvent associés aux déchets, nos outils technologiques ont pourtant un impact de plus en plus lourd. La mise en place de bonnes pratiques est plus difficile. « Se passer des réseaux sociaux, veiller à la taille des courriels et éviter de regarder des vidéos sur les réseaux 4G / 5G » sont considérés comme difficile pour près de 40% des sondés.

7 – Mobiliers, équipements et décorations

Les gestes tels que « emprunter des livres » et « vendre ou donner sur les sites d’occasions » sont les plus adoptés par nos sondés à plus de 90%.

Les gestes les moins fréquemment adoptés comprennent le recours à l’emprunt et à la location (moins de 70% de mise en place) plutôt qu’à l’achat. Ce résultat s’explique par l’offre encore insuffisante de solutions proches et abordables en termes de prix pour beaucoup de matériels /outils. Acheter reste le plus simple, et parfois le plus économique.

8 – Au bureau

 « Constituer une green team avec ses collègues » est difficile pour plus de 30% des participants alors que « se rendre au travail sans voiture est adopté à plus de 85%.

« Boire son thé ou café dans une vraie tasse et apporter sa gourde » fait partie du quotidien pour quasiment 90% des sondés.

9 – En voyage, déplacement professionnel

Cette thématique est de loin celle où les gestes Zéro Déchet sont les plus difficiles et le moins mis en place.

« Voyager sans prendre l’avion » est contre toute attente le plus adopté par près de 80% des sondés. Ce qui est inversément proportionnel à la statistique suisse : 60% des Suisses estiment qu’on peut prendre l’avion pour partir en vacances sans avoir mauvaise conscience (source sondage 2023 Tamedia pour 24H).

Ne plus avoir de voiture reste l’action la plus difficile à plus de 60%. Effectivement, c’est encore un moyen de transport indispensable dans certaines localités.

Enfin, consulter la carte des bonnes adresses Zéro Déchet est utilisé par moins de 40% des sondés, mais il est très encourageant de voir que près de 25% d’entre eux ont prévu de faire !

10 – Fêtes et anniversaires

 « Utiliser de la vaisselle réutilisable » fait partie du quotidien d’environ 80% des sondés. C’est une bonne nouvelle que cette habitude d’éviter ce déchet superflu soit adoptée à l’unanimité.

La barrière des normes sociales est encore difficile à franchir : demander à ses invités de venir avec ses assiettes, tout comme renoncer au papier cadeau sont les plus difficiles.

Conclusion

Pour ce sondage, il faut tenir compte de son biais, car il a été diffusé via le carnet d’adresses « newsletter » et les réseaux sociaux de l’association. Nous considérons que ces personnes sont déjà sensibles à la problématique du Zéro Déchet.

Pour bien des étapes, les participants à notre sondage ont déjà mis en place une grande partie des gestes Zéro Déchet.

Les gestes les plus souvent mis en place sont :

  • Acheter local
  • Cuisiner de saison et les restes
  • Donner ou vendre les vêtements inutilisés
  • Conserver son téléphone le plus longtemps possible
  • Vendre ou donner sur des sites d’occasion
  • Utiliser une vraie tasse au bureau
  • Emporter sa gourde
  • Utiliser de la vaisselle réutilisable

Les gestes les plus difficiles et les moins adoptés sont :

  • Se passer du congélateur
  • Devenir végétarien
  • Se passer des réseaux sociaux
  • Constituer une green team avec ses collègues
  • Ne plus avoir de voiture
  • Et demander d’apporter ses services lors de grandes fêtes

Il est intéressant de noter qu’auprès d’une communauté orientée et plutôt acquise à la démarche Zéro Déchet, les fondamentaux que nous présentons dans nos ateliers et initiations sont plutôt acquis.

Les gestes les moins appliqués sont peu mentionnés dans nos activités, moins demandés ou nouveaux (atelier voyage, vêtements et énergie ou atelier sobriété numérique). Certains comme repenser sa mobilité, ou devenir végétarien demandent également plus d’efforts dans la mise en place.

Les actions en lien avec une circularité de l’économie (seconde main, réparation, emprunt, location…) sont mises en place de manière partielle. Certainement du fait du manque d’offre qui peut rendre la démarche complexe et parfois coûteuse :

  • Acheter d’occasion n’est pas toujours facile (il faut trouver, pouvoir aller chercher un objet encombrant, avoir une offre attrayante à proximité, renoncer à une garantie…).
  • Réparer est le plus souvent déconseillé par les commerçants qui proposent le plus souvent de renouveler l’objet. Et la réparation de certains biens est presque plus cher que le prix du neuf (ressemeler des chaussures par exemple)
  • Louer ou emprunter : des plateformes de partage existent, mais peinent à trouver leur modèle : il peut être difficile de trouver à côté de chez soi ou disponible. Ce type de solution doit pourtant être privilégié à une échelle locale et encouragé par les collectivités. Plus les solutions de partage existeront localement et seront accessibles, moins nous aurons besoin d’acheter.

Enfin les normes sociales sont un frein souvent observé avec nos participants dans les ateliers, et se confirme dans ce sondage :

  • Il est plus admis aujourd’hui d’offrir un cadeau d’occasion alors que c’était inenvisageable (voir offensant) il y a quelques années.
  • Renoncer à de la vaisselle jetable pour une fête est admis pour notre panel alors que c’est une pratique très répandue dans nos entourages respectifs.

Il y a un travail de sensibilisation et de mise en pratique de ces nouveaux comportements par une partie de plus en plus importante de la population pour faire évoluer ces normes sociales.

C’est l’intérêt du mouvement Zéro Déchet: Une personne qui applique correctement la méthode Zéro Déchet peut être un modèle pour tous les autres et aider à obtenir le changement de comportement dont nous avons besoin dans l’ensemble de la population.

On est tous dans la même barque : agriculteurs et consommateurs, de la fourche à la fourchette.

Nous avons rencontré Blaise Hofmann1, écrivain-vigneron né à Morges qui nous partage sa vision de l’agriculture et son avenir.

Respect, reconnaissance, rencontre, rémunération & responsabilité, encore 5 R

Quand dernièrement, j’ai demandé à mes parents quel avait été le meilleur souvenir de leur vie de paysanne, de paysan, tous deux m’ont répondu spontanément :

– Nos vingt-cinq années de vente directe avec le marché à la ferme.

Ils l’avaient ouvert dans les années 1990, à contrecœur, en réaction à une décision inattendue de leur coopérative fruitière : un employé refusa les plateaux de cerises de table que mon père lui livrait, sous prétexte que ses fruits avaient été cueillis sous la pluie. Il faut croire que sa colère fut bien vive, car il ne répondit rien, il referma simplement le coffre de son break et s’en alla.

De retour à la maison, en lançant quelques coups de fil, mes parents écoulèrent le stock auprès de leurs proches, s’aperçurent, d’une part, que les prix doublaient, d’autre part, que le lien avec le consommateur était renoué ; ils s’en trouvaient valorisés. Cette activité leur appartenait de bout en bout, ils maîtrisaient tous les maillons de la chaîne, de la plantation des arbres au prix de vente des fruits. L’idée germa ainsi d’écouler le reste des cerises sur un stand improvisé au bord de la route.

Quelques années plus tard, cette même coopérative décida de ne plus accepter non plus leurs pommes, pour la raison qu’ils étaient de trop petits exploitants : pas assez de surfaces, pas assez de rentabilité, pas assez de profits, trop de complexité logistique. À partir de ce jour, ils n’y remirent plus les pieds. Ils ouvrirent leur marché à la ferme tous les samedis, cela bien avant la tendance actuelle au circuit court. Ce fut un partage de compétence gagnant-gagnant entre le tempérament hyper social de ma mère, qui officiait comme vendeuse, et celui hyper actif de mon père, qui filait cueillir ce qu’il fallait en fonction de la demande. Ils trouvèrent ainsi, presque par hasard, le modèle de production qui leur convenait, qui leur ressemblait, qui leur apportait dignité et fierté.

Sans le savoir, mes parents commençaient ainsi à appliquer au quotidien la « règle des 5 R » de la géographe Sylvie Brunel :

RESPECT de ceux qui travaillent pour nous nourrir,

RECONNAISSANCE de leurs efforts,

RENCONTRE entre les mondes ruraux et urbains,

RÉMUNÉRATION digne des services accomplis,

RESPONSABILITÉ du consommateur.

Concernant ce dernier point, on dit souvent que le client est roi ; en vérité, tout est fait pour orienter ses choix, conditionner ses habitudes selon les souhaits des acteurs du marché agro-alimentaires.

En prenant par exemple l’habitude d’acheter sur les étals des pommes de terre propres, on impose sans le savoir aux producteurs de les traiter chimiquement pour raffermir leur peau et leur permettre d’être lavées, triées et transportées sans dommages ; c’est nous aussi qui imposons l’usage d’antigerminatifs car on n’achèterait jamais de tubercules couverts de végétation.

C’est aussi nous qui, poussés par une promotion exceptionnelle, souhaitons manger des tomates en plein hiver, et forçons ainsi les producteurs à acquérir des plants résistants, à les cultiver dans des serres chauffées, dans des terreaux hors-sols à base de fibre de coco sri-lankaise, à nourrir ces plants au goutte à goutte en eau, en phosphore, en phosphate et en oligo-éléments. C’est nous qui consommerons des tomates sans goût ni valeurs nutritives.

C’est nous enfin qui, en achetant des pommes parfaites, de taille moyenne, sans tavelure, sans défauts, déclassons indirectement les trois-quarts de la récolte de l’agriculteur ; nous qui imposons l’usage d’une trentaine de molécules chimiques pour obtenir des fruits aussi esthétiques que résistants ; nous qui forçons les producteurs à traiter avant la cueillette pour durcir les fruits, à cueillir trop tôt et conserver la récolte dans des chambres froides pour éviter le murissement…

On est tous dans la même barque : agriculteurs et consommateurs, de la fourche à la fourchette. Une décision impliquant l’un se répercute forcément sur l’autre ; on ferait mieux d’aborder l’avenir ensemble.

Pour cela, il faudrait que le monde agricole retrouve une voix, un visage, un corps, qu’il prenne le temps et trouve les moyens de se raconter, apprenne à le faire. Il ne sert à rien aujourd’hui d’aligner les chiffres alarmants (3 exploitations disparaissent en Suisse chaque jour), les pourcentages défaitistes (l’agriculture ne concerne plus que 1.7% de la population). Il faut remettre dans le débat de l’émotion, du dialogue, de la rencontre.

Réciproquement, il faudrait que la population citadine regarde un peu moins de tutoriels Youtube sur l’agroécologie, parte à la découverte des campagnes, sorte de sa zone de confort, ne considère plus uniquement la périphérie comme des zones de détente, de tranquillité. Elle apostropherait ceux qui dessinent et savent encore lire le paysage (étymologiquement, « paysan » signifie « gens du pays ») pour leur demander :

– S’il vous plaît, racontez-moi votre métier.

Hélas, l’alimentation n’est plus une préoccupation majeure et quotidienne ; on se soucie davantage de régimes amaigrissants que de sécurité alimentaire. Les dernières famines en Suisse remontent à deux siècles – en 1816, « l’année sans été », lorsque le climat mondial fut déréglé par l’éruption d’un volcan indonésien –, les survivants sont morts depuis longtemps et leurs cauchemars ne peuvent plus nous atteindre.

Trouver des denrées, les conserver et les cuisiner ne représente que quelques minutes de notre quotidien ; on commande en ligne des courses qui sont déposées devant la porte. Une fois toutes les deux semaines, on se gare dans un parking souterrain pour remplir un caddie, un frigo, un réfrigérateur : l’opération dure moins de deux heures.

Le budget nourriture a suivi la même tendance, ne constituant que 7% des dépenses d’un ménage (en Suisse en 2023). Une broutille en comparaison des sommes allouées aux hobbies, aux vacances, aux sorties. Ce faible pourcentage explique pourquoi tant de potagers ont disparus des alentours des fermes : les prix cassés des supermarchés rendent ces activités caduques. On en retrouve par contre de plus en plus sur les balcons des citadins, qui visent moins l’autonomie qu’un premier pas vers un retour à la terre, une sorte de hobbyfarming.

Pour remettre l’alimentation au centre des préoccupations, il faudrait d’abord rééduquer le goût du consommateur, ses connaissances des produits, ses aptitudes à les cuisiner.

S’il décidait de n’acheter que des produits locaux, de saison, s’il décidait de manger tous les morceaux d’un animal, de condamner les sucres ajoutés, les émulsifiants et autres additifs, s’il était d’accord de payer un petit peu plus cher, l’offre des magasins serait immédiatement bouleversée, sans que l’État, les grands distributeurs ou les multinationales agroindustrielles n’aient leur mot à dire.

En quelques années, la production s’alignerait comme par miracle sur les aspirations d’un consommateur éveillé.

L’État pourrait accélérer ce processus en sortant d’une gestion agricole exclusivement marchande, en remplaçant sa « politique agricole » par une « politique alimentaire », en remettant ainsi au centre du débat la production de nourriture, en cherchant à assurer, d’une part, de bons produits aux consommateurs, et d’autre part, aux paysans un revenu juste.

Durant la pandémie de coronavirus, il était si affligeant de voir le Conseil fédéral fermer tous les marchés de plein air et autoriser l’accès aux grandes surfaces. C’était la preuve d’un soutien très politique envers un système consumériste, l’aboutissement d’un demi-siècle d’hégémonie agro-industrielle sur l’approvisionnement alimentaire.

La terre, le végétal, l’animal ne constituent pas une industrie comme une autre. La production de nourriture ne doit pas obéir aux mêmes critères que la fabrication de gadgets. Il ne s’agit pas d’un métier de financiers, de communicants, d’ingénieurs.

L’agriculture est le dernier secteur à avoir intégré la société industrielle ; elle sera peut-être, il faut l’espérer, le premier à s’en affranchir.

  1. Blaise Hofmann
    Écrivain-vigneron suisse né à Morges en 1978, auteur, entre autres, d’Estive (Prix Nicolas Bouvier 2008 au festival des Étonnants voyageurs de Saint Malo) et de Faire Paysan (éditions Zoé, 2023). ↩︎

Sapocycle met fin au gaspillage de savon dans l’industrie hôtelière

Si l’on regardait de plus près les douches des hôtels suisses, on pourrait presque croire que l’industrie a fait le saut vers un avenir adapté aux petits-enfants !

En effet, là où il y a quelques années encore, on proposait principalement aux clients des petits produits de soin de 50 ml mis à disposition dans les douches, vous pouvez aujourd’hui trouver de grands distributeurs rechargeables pour shampooings et gels douche.

Une évolution réjouissante !    …. et pourtant les apparences sont trompeuses.

De nombreux hôtels 4 et 5 étoiles proposent encore à leurs clients des savons pour se laver les mains ou des petits produits d’entretien à essayer. Ces fournitures finissent ensuite à peine consommées en grande quantité dans les déchets. Ce n’est pas seulement l’emballage qui est irrévocablement perdu lors du recyclage thermique, mais aussi l’excès de contenu d’entretien lui-même. Pour une entreprise hôtelière, un tel gaspillage est doublement ennuyeux. D’une part, ils paient beaucoup d’argent pour ces produits, qui sont souvent pourvus du logo de l’hôtel et sont destinés à ce que le client puisse les emporter chez eux et ainsi se souvenir de l’hôtel même après son séjour. D’autre part, le poids des savons durs et/ou liquides à éliminer s’additionne et les quantités de déchets et les coûts d’élimination sont encore augmentés.

Mais depuis la création de la Fondation suisse SapoCycle en 2014, il existe une alternative aux déchets :

Les hôtels ont la possibilité de collecter leurs savons durs séparément et de les faire ramasser. Les savons sont ensuite envoyés directement dans un atelier de recyclage à Bâle, où ils sont traités et utilisés pour fabriquer de nouveaux savons hygiéniques qui sont distribués à des personnes dans le besoin en Suisse et à l’étranger. Mais ce n’est pas tout : depuis 2022, Sapocycle a franchi une nouvelle étape avec le retraitement des savons liquides. Désormais, ils peuvent également être distribués à Sapocycle. Le contenu est traité, les emballages vides sont envoyés au recyclage et les savons liquides transformés sont remis en bouteilles et également donnés à ceux qui en ont besoin. Détail qui a son importance : lors de la distribution des produits, Sapocycle s’assure que les savons liquides ne sont distribués que dans des pays qui peuvent garantir le recyclage de l’emballage !

Un projet réfléchi de A à Z qui favorise l’économie circulaire et réduit les déchets.  Le projet n’est pas seulement convaincant sur le plan écologique, mais aussi sur le plan social. Par exemple, le recyclage des savons se fait en coopération avec une institution qui emploie des personnes handicapées et la distribution des savons aux personnes en situation de pauvreté contribue à améliorer continuellement les conditions de santé et d’hygiène dans les pays en développement.

Le projet de Sapocycle est une réussite et les chiffres parlent d’eux-mêmes. À ce jour, 278 000 nouveaux savons ont été produits à partir de 41 000 kg de savons durs en Suisse et en France, et 2 120 litres de savon neuf ont déjà été produits et redistribués à partir de 5 500 kg de savon liquide. Au total, 85 000 kg de CO2 ont pu être économisés. Le projet est principalement financé par les hôtels participants, qui paient une participation annuelle pour la collecte des savons, en fonction de la taille de l’entreprise. En fin de compte, il est clair que la participation au projet est plus coûteuse que l’élimination des savons avec les déchets résiduels. Il existe encore peu de projets comme Sapocycle qui apportent une contribution aussi précieuse sur le plan écologique, social et humanitaire.

savon

Transformation Digitale et le Zéro Déchet

Quand on souhaite aller vers le Zéro Déchet, l’une des idées qui revient souvent est d’aller vers le tout numérique : facture en ligne, stockage des recettes de cuisine dans un cloud, etc.

Attention toutefois à ne pas tomber dans l’excès inverse, car on le sait peu, mais notre vie numérique a un grand impact sur l’environnement. Il y a évidemment la consommation énergétique, mais aussi l’énergie grise qui est cachée dans nos appareils (consommation de ressources naturelles telles que les terres rares, la fabrication, le transport, etc.).

Mettre tous ses documents sur un cloud, insérer une image dans sa signature, s’abonner à des lettres d’information (qu’on ne lit parfois pas !) : tout cela a un coût pour la planète. Mais comme toujours, il y a moyen de mieux faire !

Conseils et astuces pour des bonnes pratiques

Pour les e-mails

  • Envoi d’emails en format texte (12x moins lourds).
  • Si l’email est au format HTML, ne pas joindre les images et feuilles de style mais laisser l’option au destinataire de les télécharger.
  • Configurer l’anti-spams.
  • Vider sa messagerie – Supprimer les messages superflus sur le serveur (la corbeille, les messages envoyés, on les oublie trop souvent !) et sauvegarder les messages et pièces jointes importantes sur un disque dur.
  • Se désabonner des lettres d’information (Newsletters) – Oui, toutes celles que vous ne lisez jamais ! Il existe plusieurs outils gratuits pour vous aider dans cette démarche : unroll.me ou Cleanfox.
  • Utiliser un service de messagerie respectueux des données – Comme Protonmail ou Newmanity qui respectent la vie privée, sans analyser ni collecter les e-mails à des fins commerciales.
  • Limiter les e-mails ! – Avant d’envoyer un mail à tout le bureau, se demander si on ne peut pas transmettre l’information oralement ou si le jeune stagiaire a vraiment besoin de ce message. Chaque destinataire représente de l’électricité consommée en plus.
  • Opter pour une signature simple – Éviter les signatures d’e-mail avec une image ou une pièce jointe.
  • Envoyer moins de pièces jointes – Pour partager des fichiers, utiliser une clef USB moins énergivore que les pièces jointes. Et si on dispose d’un espace partagé au travail, indiquer le chemin pour accéder au document.

Pour les recherches sur le Web

Une recherche sur un moteur de recherche (comme Google par exemple) a un coût énergétique. Une banale recherche sur Internet consomme autant d’électricité qu’une ampoule de 100 W qui serait allumée pendant 1 heure (en prenant en compte tous les ordinateurs allumés nécessaires pour générer la page de résultats sur l’écran).

Il faut donc rendre nos recherches plus EFFICIENTES et utiliser un Browser (navigateur) adapté aux types de recherche. 

Firefox et Chrome ont actuellement les meilleures performances.

Aujourd’hui, 333.2 milliards d’e-mails (2022) (hors-spams) transitent chaque jour sur la toile.(source : Statista : nombre d’e-mails envoyés et reçus chaque jour dans le monde de 2017 à 2024) Quelle énergie le permet ? Si Internet était un pays, il serait le cinquième consommateur mondial d’électricité.

Conseils pour rendre les recherches plus efficaces
  • Directement à la bonne adresse – Pour éviter les recherches inutiles, utiliser les favoris pour accéder facilement aux sites que l’on visite. Si on connaît l’URL du site, on peut la taper directement dans la barre d’adresse du navigateur Internet.
  • Utiliser des termes spécifiques uniques (requête précise)
  • Utiliser le caractère «  » pour affiner la recherche (moins d’occurrences) à exemple : pour chercher « zéro déchet » sans ZeroWaste Switzerland : écrire zerodechet -zerowasteswitzerland
  • Utiliser des guillemets pour des suites de mots et phrases exactes à exemple : pour chercher l’association ZeroWaste Switzerland : écrire “ZeroWaste Switzerland”
  • Utiliser des délimiteurs « :/  »  à exemple : pour chercher un film sur le Zéro Déchet : écrire film:/ zero dechet (autres exemples : music:/ filetype:/ inurl:/ site:/ title:/ allintitle:/ related:/)
  • Utiliser l’advanced search du moteur de recherche pour affiner les résultats
  • Privilégier un moteur de recherche responsable – ça existe ! Ecosia (qui plante des arbres grâce à ses revenus publicitaire), Goodsearch (le moteur de recherche humanitaire) ou encore Ecogine (qui reverse l’intégralité de ses recettes issues des recherches à des associations à but environnemental), et beaucoup d’autres !
  • Vive le noir ! – Pour réduire la consommation d’électricité de l’écran, utiliser des pages de recherche noire comme Blackle (et diminuer la luminosité de l’écran tant qu’on y est !)
  • Bloquer la publicité – La publicité sur Internet consomme aussi de l’énergie : ne pas hésiter à utiliser des bloqueurs de publicité tels que Adblock ou Ghostery.

Stockage dans des serveurs

  • Limiter le stockage en ligne des données – Certes un cloud c’est très pratique, mais quelque part dans le monde, un vrai serveur (et sans doute plusieurs serveurs avec des copies) stocke les informations et consomme beaucoup d’énergie en électricité et en climatisation (ils doivent être à une température constante de 20°C).

Pour les ordinateurs

  • Prolonger la durée d’utilisation à 6 ans ou plus.
  • Privilégier un matériel certifié (EPEAT notamment).
  • Envisager la possibilité d’un équipement en deuxième vie.
  • Gérer intelligemment la fin de vie (collecte, recyclage, revalorisation).
  • Désactiver les économiseurs d’écran (screen saver).
  • Diminuer la luminosité de l’écran (économie de la batterie, rétro-éclairage très énergivore).
  • Consommation du processeur (privilégier les processeurs basse consommation ARM).
  • Multiprise pour périphériques (un équipement éteint continue de consommer, prises EcoWizz intéressantes).

Les impressions 

L’empreinte environnementale se concentre sur l’encre et le papier. Les 14% des impressions ne sont jamais lues, 25% sont jetées dans les 5 minutes après l’impression. Le 38% des volumes d’impressions sont générés par les e-mails.

En Europe, on utilise 4x plus de papier que la moyenne mondiale ! 92% de la consommation des imprimantes est liée au mode veille.

Les bonnes pratiques pour l’impression

  • Utilisation de papier recyclé (3x moins d’eau et d’énergie, les fibres sont recyclables 4 à 5x, 25x moins de pollution chimique). Chaque tonne de papier recyclé préserve 17 arbres, 26’500 litres d’eau, 4’100 kWh.
  • Critères d’achat : écolabels Blue Angel, EPEAT pour le hardware, Ecolabels FSC, favoriser les systèmes de recharge pour toners et encres.
  • Outsourcing des prestations d’impressions (label Imprim’vert).
  • Location du « service » d’impression (combat contre l’obsolescence programmée).
  • Sensibilisation des utilisateurs (HP Carbon Footprint Calculator).
  • Remplacer les imprimantes individuelles par des imprimantes réseauxpartagées.
  • Mise en place d’imprimantes multifonctions.
  • Utiliser un code ou un badge pour récupérer les impressions.
  • Imprimer en mode brouillon, en recto-verso.
  • Privilégier les polices de caractère peu gourmandes en encre (Century Gothic en français et Garamont en anglais)
  • Optimiser l’impression des pages web (suppression des Banners avec de grandes images, etc.)
  • Logiciel d’audit et mesure d’optimisation (Doxense WatchDoc)
  • Favoriser les encres solides.
  • Fin de vie intelligente des consommables (encre et papier).

Téléphones portables et tablettes

Les bonnes pratiques

  • Paramétrer les réglages de luminosité (l’écran est le composant le plus gourmand dans les téléphones ou tablettes).
  • Désactiver le Wi-Fi et le Bluetooth lorsqu’elles ne sont pas nécessaires (réduction de la consommation d’énergie).
  • Eviter les fonds d’écran animés (ultras gourmands en énergie).
  • Fermer les applications inutiles (éteindre l’application que l’on vient de quitter).
  • Installer une application d’économie d’énergie.
  • Limiter l’exposition aux ondes nocives (éviter de l’utiliser dans une enceinte fermée, utiliser des kits mains-libres).
  • Favoriser une plus longue vie de la batterie. S’agissant des batteries lithium-ion, il est recommandé de charger son appareil régulièrement afin d’éviter une recharge complète qui accélère le vieillissement de la batterie. De plus, il est conseillé de ne pas exposer son appareil à de trop hautes températures (appareil déposé en plein soleil) ce qui protégera également les capacités de la batterie.
  • Les notifications ou push : le téléphone se connecte en permanence à différents serveurs pour aller chercher les emails, notifications Facebook, etc. On peut gérer ces paramètres dans les réglages en demandant une consultation du serveur par exemple uniquement toutes les heures ou en optant pour le faire manuellement.
  • Le Cloud : il s’agit d’un espace de stockage virtuel. Encore une fois, on peut gérer la synchronisation pour qu’elle s’effectue soit à intervalles de temps réguliers soit manuellement. Evidemment, moins on transfère de données et plus la batterie tiendra longtemps.
  • Utiliser l’appareil photo avec parcimonie. Le HD consomme beaucoup d’énergie.

Sources

  • Empreinte environnementale : Earth Overshoot Day, footprintnetwork.org
  • Réchauffement climatique : COP21
  • Croissance démographique – eau : pranasustainablewater.ch
  • Disparition des ressources naturelles : Living Planet, report 2016
  • Du sang sur nos portables : enquête Action de Carême et Pain pour le prochain
  • Obsolescence programmée : émission d’ABE
  • Coûts de l’énergie : greenit.fr
  • Les nouvelles tendances : More Data, Less Energy – Maria van der Hoeven
  • Les objectifs du développement durable (PNUD) : undp.org
  • Global Reporting Initiative
  • Norme ISO 14040 : analyse cycle de vie (ACV)
  • ACV : pre-sustainability.comwww.quantis-intl.comwww.codde.fr
  • Economie circulaire : itopie.ch, cradletocradle, ecofina, jobEco, réalise entreprise d’insertion
  • Déchets : International Telecommunication Union
  • Déchets en Suisse : émission TTC : réparer c’est moins cher
  • Déchets : Where are we in Africa ?
  • Ecolabels : Epeat, ecoprofits, SwissClimate, Carbon Neutral
  • Eco-conception logicielle : Quick&Dirty Operating system
  • Logiciels libres et développement durable : ll-dd.ch
  • Ecoconception Web : GTmetrix, ecoIndex.frwebenergyarchive.com.ourssite.com
  • Poste de travail, bonnes pratiques : Microsoft Windows Forum
  • Impressions : ecofont
  • DataCenter : the green grid
  • Téléphones mobiles et tablettes : phonandroid.com, les impacts du smartphone
  • Fairphone : vimeo.com/107812653www.fairphone.com
  • Le choix du Browser : lesnumeriques.com/appli-logiciel

Pour aller plus loin cliquez ici.

https://reporterre.net/Petit-manuel-des-bonnes-pratiques-ecolos-sur-Internet

Die Kreislaufwirtschaft

Die Kreislaufwirtschaft erscheint zunehmend als glaubwürdige Alternative zum derzeitigen Wirtschaftsmodell und gibt Hoffnung für die Bewältigung der Klimakrise. Sie strebt einen tiefgreifenden Mentalitätswechsel in der Art und Weise, wie Waren und Konsumgüter produziert werden, an. Gleichzeitig wird die Kreislaufwirtschaft als weniger radikal als Degrowth angesehen, und könnte daher viele Unternehmen überzeugen, die neben den ökologischen Vorteilen, die sie mit sich bringt, auch eine Chance sehen, sich von der Masse abzuheben.

Wie ist dieses Konzept zu verstehen? Ist es eine Lösung, mit der man beim ökologischen Wandel einen echten Unterschied machen kann? Wie verbindet es sich mit dem Zero Waste-Ansatz? Viele Hoffnungen werden auf jeden Fall in diesen Ansatz gesetzt, den wir hier aufschlüsseln.

Ausbruch aus dem vorherrschenden Modell 

Unsere Wirtschaft beruht weitgehend auf dem Modell der linearen Produktion. Es basiert auf der Illusion, dass die Ressourcen unbegrenzt sind, und bildete den Rahmen, in dem die “Trente Glorieuses” und der daraus resultierende materielle Wohlstand entstehen konnten. So wurde die Produktion materieller Güter jahrzehntelang als ein Vorgang betrachtet, der lediglich aus Gewinnung, Herstellung, Nutzung und Entsorgung besteht. Die heutige Produktion der meisten materiellen Güter funktioniert noch immer nach dieser Logik. Unternehmen entnehmen der Erde Mineralien, Metalle, Biomasse und fossile Brennstoffe, verarbeiten sie zu Industrieprodukten und verkaufen sie an Verbraucher, die sie früher oder später entsorgen.

Wir wissen heute, dass dieses Modell – wenn man Produktion und Konsum als zwei Seiten derselben Münze sieht – die Zukunft unseres Planeten ernsthaft bedroht und das natürliche Gleichgewicht, das die Erde beherrscht, zunehmend unhaltbar belastet. Ein Konzept hilft uns, dies zu verstehen. Es handelt sich um die planetaren Grenzen, wie sie 2009 von einer internationalen Gruppe von Wissenschaftlern festgelegt wurden. Diese Grenzen sind Schwellenwerte, bei deren Überschreitung die Gefahr besteht, dass die Erde in einen Zustand kritischer Instabilität gerät. Es gibt neun solcher Grenzwerte: Klimawandel (CO2-Konzentration in der Atmosphäre), Einführung neuer Stoffe in die Umwelt (synthetische Moleküle, Nanopartikel), Erosion der Artenvielfalt, Störung der Stickstoff- und Phosphorzyklen (Landwirtschaft, Viehzucht), Veränderung der Landnutzung (Entwaldung), Versäuerung der Ozeane, globaler Süßwasserverbrauch, Abbau der Ozonschicht und Konzentration atmosphärischer Aerosole (Feinstaub).

Sechs dieser Grenzen sind schätzungsweise heute bereits überschritten1, und zwar aufgrund unseres Lebensstils, der gleichbedeutend ist mit übermäßigem Konsum, Übernutzung, Überproduktion… Es ist also dringend notwendig, das Modell zu ändern.

Eine glaubwürdige Alternative, die sich an der Natur orientiert.

Die Kreislaufwirtschaft beschreibt eine Art der Güterproduktion, die sich an der Funktionsweise natürlicher Ökosysteme orientiert, in denen nichts verloren geht, da die Bestandteile des Lebens (Kohlenstoff, Sauerstoff, Wasser, Stickstoff, Phosphor) ständig wiederverwertet werden. Sie beruht auf Regeneration. “Es gibt keinen Reichtum außer dem Leben”, so formulierte es bereits der englische Schriftsteller John Ruskin2 (1860) in einem seiner Werke, für den die von der Sonne gespeiste Regenerationskraft des Lebens die einzige Form von Reichtum ist, die über die Zeit hinweg bestehen bleibt. Die Bedeutung der Kreislaufwirtschaft wurde vereinfacht, indem man lernte, Materie und Energie so weit wie möglich wiederzuverwenden, so wie es unsere Grosseltern schon machten.

Nur 13% der Produkte, die in der Schweiz konsumieret werden, sind aus recycelten Materialien hergestellt und unser Land hat die höchste Pro-Kopf-Abfallmenge. Es werden immer noch zu viele Ressourcen verschwendet und die Kreislaufwirtschaft wird zu oft nur unter dem Gesichtspunkt des Abfallrecyclings betrachtet, während andere Prinzipien wie Renovation, Reparatur, Wiederverwendung oder Teilen vernachlässigt werden. 

Recycling allein wird nicht ausreichen. Um dies zu verdeutlichen, sei darauf hingewiesen, dass die Wachstumsrate des Ressourcenverbrauchs die Zirkularität einer Wirtschaft bestimmt. Verschiedene Materialien werden erst nach einer “Verweildauer” in der Wirtschaft recycelt, die von Produkt zu Produkt variiert, aber mehrere Jahrzehnte betragen kann. Bei einer jährlichen Wachstumsrate von über 1% (wie in der Schweiz) macht der Anteil des recycelten Materials zum Zeitpunkt seiner Wiederverwendung nur einen relativ geringen Teil des verbrauchten Materials aus.

Daher ist es notwendig, das Bewusstsein der breiten Öffentlichkeit zu schärfen, um eine Verhaltensänderung einzuleiten. Die amerikanische NGO Global Footprint Network schlägt in diesem Sinne einen Indikator vor, den Earth Overshoot Day, der das Datum des Jahres berechnet, ab dem die Menschheit alle erneuerbaren Ressourcen verbraucht hat die der Planet in einem Jahr produzieren kann und um die produzierten Abfälle, darunter CO2, zu absorbieren. Nach Schätzungen der NGO hat die Schweiz diesen symbolischen Tag am 13. Mai 2023 erreicht und lebt seit diesem Tag auf Kredit. Wenn alle Menschen auf der Welt so viel verbrauchen würden wie die Menschen in der Schweiz, wäre bereits alles verbraucht, was die Ökosysteme unseres Planeten in einem ganzen Jahr erneuern können.

Eine Chance für KMU

Der Übergang zu einer Kreislaufwirtschaft kann auf zwei Ebenen erfolgen: durch politische Begleitung über die Einführung von Regeln und/oder Anreizen, mit denen die Rahmenbedingungen gesetzt werden. Dies tut der Bund bereits – wenn auch in bescheidenem Umfang – mit Verbänden wie Circular Economy Switzerland, der Regionalentwicklungsplattform regiosuisse oder Reffnet, einem vom Bund unterstützten Schweizer Netzwerk für Ressourceneffizienz.

Auch das Parlament hat sich mit dem Thema befasst. Der Nationalrat hat im Mai 2023 den Entwurf zur Revision des Umweltschutzgesetzes (USG) angenommen. Diese Revision enthält mehrere Bestimmungen, die die Entwicklung der Kreislaufwirtschaft in der Schweiz fördern sollen. Sie sieht auch vor, die geplante Obsoleszenz zu bekämpfen, indem Anforderungen an die Lebensdauer und die Reparierbarkeit von Produkten gestellt werden. Die Initiative sieht ausserdem vor, dass der Bausektor das Recycling von Ressourcen verbessert. Bevor die Vorlage in Kraft treten kann, muss sie noch vom Ständerat abgesegnet werden. 

ZeroWaste Switzerland ist Teil der Bewegung:

Die zweite Handlungsebene liegt bei den KMU selbst, da diese die Mehrheit des Schweizer Wirtschaftsgefüges ausmachen. Es ist wichtig, Wege zu finden, um sie dazu zu anzuregen, sich in diese Richtung zu bewegen. Diese Aufgabe hat sich die Fabrique Circulaire gestellt, eine von dss+4 in Genf gegründete Plattform, die darauf abzielt, KMU bei ihrem Transformationsprozess zu begleiten. Zu diesem Zweck hat sie im Jahr 2021 ein Begleitprogramm im Kanton Genf gestartet. Rund 15 Unternehmen wurden ausgewählt, deren Branchen vom Baugewerbe über die verarbeitende Industrie bis hin zur Lebensmittel-, Energie- und Dienstleistungsbranche reichen. Diese Unternehmen wurden 18 Monate lang intensiv bei der Umsetzung von operativen Projekten der Kreislaufwirtschaft begleitet. Die gleiche Initiative wurde 2023 im Kanton Waadt gestartet. Das erhoffte Ziel ist ein Schneeballeffekt auf andere KMU. “Die Unternehmen engagieren sich für die Umwelt, aber auch, weil die Kosten der Untätigkeit vor dem Hintergrund der Knappheit an fossilen Energien und Rohstoffen zu hoch werden. Viele Akteure werden, wenn sie nichts tun, in fünf Jahren nicht mehr existieren”, analysiert Charlotte Jacquot, die Leiterin des Programms3

Ein notwendiger Mentalitätswandel

Um sich durchzusetzen, muss sich die Kreislaufwirtschaft auf einen tiefgreifenden Mentalitätswandel stützen können.   

Sie muss den gesamten Lebenszyklus von Materialien und Produkten abdecken: Abbau, Design, Produktion, Vertrieb, weitere Nutzung und schliesslich Recycling. Ausserdem muss sie sich auf Materialien verlassen können, die getrennt gesammelt und recycelt werden, um hochwertige Sekundärstoffe wie PET oder Aluminium zu erzeugen, die dann vermarktet und für die Herstellung neuer Güter verwendet werden können. Dies bedeutet, dass Schadstoffe beim Sammeln und Recyceln entfernt und aus dem Stoffkreislauf entfernt werden. So können Primärrohstoffe im Produktionsprozess durch Sekundärrohstoffe ersetzt werden, die aus dem Recycling und der Verarbeitung anderer Rohstoffe stammen. 

Schon im Vorfeld bei den Herstellern darauf hinzuwirken, dass bei der Produktion möglichst viele natürliche Ressourcen geschont werden, ist nicht einfach. Dies wird als Ökodesign bezeichnet. Produkte sollen so gestaltet werden, dass sie weniger Material benötigen, durch Wiederverwertung oder Reparatur eine längere Lebensdauer haben oder recycelbar sind.

Die Cradle to Cradle (C2C)-Methode (von der Wiege zur Wiege) ist der Vision der Kreislaufwirtschaft sehr ähnlich, aber spezifischer (die Kreislaufwirtschaft ist systemischer und Teil eines umfassenden Umdenkens in Bezug auf Wirtschafts- und Industriemodelle). Sie wurde Anfang der 2000er Jahre von zwei Wissenschaftlern4 entwickelt und zielt darauf ab, nachhaltige Produkte und Systeme zu schaffen, indem sie sich von natürlichen Prozessen inspirieren lässt, die Kreislauffähigkeit von Materialien fördert und den Schwerpunkt auf Sicherheit und Regeneration legt. Sie wird von einer Zertifizierung begleitet, die garantiert, dass ein C2C-Produkt recycelbar ist und keine schädlichen Rohstoffe enthält. Beispiele für C2C-zertifizierte Produkte finden sich in der Papier-, Tinten- und Verpackungsindustrie (wiederverwendbare Behälter).

Zero Waste und Kreislaufwirtschaft

Der Zero Waste-Ansatz – in der Form wie er von ZeroWaste Switzerland vertreten wird – ist ein komplementärer Ansatz zur Kreislaufwirtschaft. Er trägt dazu bei, ein positives Signal an veränderungswillige Unternehmen zu senden. Indem er sagt, dass man eine Konsumweise anwenden sollte, die Abfall beseitigt, bereitet sie den Weg für ein System, das auf mehr Zirkularität beruht.

Letztendlich unterscheiden sie sich zwar im Ziel – die Kreislaufwirtschaft versucht in erster Linie, die vorgelagerte Produktionskette zu beeinflussen, während der Zero Waste-Ansatz auf die Verbraucher abzielt -, aber beide arbeiten auf das gleiche Ziel hin: die Rückkehr zu Bedingungen, die die Zukunft unseres Planeten und seiner Bewohner sichern und die Einhaltung der planetaren Grenzen gewährleisten. 

Wir dürfen jedoch nicht vergessen, dass eine hundertprozentige Kreislaufwirtschaft eine Utopie ist, genauso wie das Streben nach dem Perpetuum mobile in der Physik seinerzeit eine Utopie war. Kein industrieller Kreislauf kann seine Materialien zu 100 % zurückgewinnen und wiederverwenden. Die Zeit wirkt sich auf alle Materialien aus, sowohl auf organische als auch auf hergestellte, und hinterlässt ihre Spuren auf Metallen (Korrosion), Kunststoffen (Zersetzung) usw. Die Kreislaufwirtschaft eröffnet jedoch ermutigende Perspektiven und ihre Einführung, wo immer möglich, ist ein weiterer Schritt in Richtung des Wandels. 

Image par Gelly___ de Pixabay

Beispiel

Die Schweizer Druckerei Vögeli AG hat 2019 die Cradle to Cradle®-Zertifizierung für ihre Druckerzeugnisse erhalten: Visitenkarten, Broschüren, Bücher und Verpackungen werden aus 100% recycelten und recycelbaren Materialien hergestellt und können somit sicher in den biologischen Kreislauf zurückgeführt werden.

Da das Ziel der Cradle to Cradle® -Zertifizierung darin besteht, nur gesunde Stoffe in einem Produkt zu vermischen, musste das Unternehmen geeignete Lieferanten und Materialien finden, um die Rückstände giftiger Stoffe, die in wiederverwendeten Materialien (z. B. Tinte) vorkommen, zu entfernen und Ersatzstoffe für Materialien zu finden, die nicht recycelt werden können und normalerweise als Abfall auf Mülldeponien landen: Füllstoffe, Klebstoffe, Farbstoffe, Lacke. Das Ergebnis ist ein Unternehmen, das die Herausforderung gemeistert hat, “so zu drucken, wie die Natur es tun würde”, wie es die Unternehmensleitung gerne sagt.

Quelle: https://circularhub.ch/fr/magazine/details/gesunde-druckprodukte-lohnen-sich0 

Weiterführende Informationen

Sites web 

Bücher:

  • Berlingen F., « Recyclage : le grand enfumage », Paris, Rue de l’échiquier, 2020
  • McDonough W. et Braungart M., “Cradle to Cradle: Einfach intelligent produzieren – Piper, 2014
  • Raworth K., « La Théorie du Donut, l’économie de demain en 7 principes », Paris, J’ai lu, 2018
  1. Es handelt sich um die Grenzen des Klimawandels, der biologischen Vielfalt, der Stickstoff- und Phosphorzyklen, der Entwaldung, des Süsswassers und der Einführung neuer Stoffe in die Umwelt. ↩︎
  2. Ruskin J., “Il n’y a de richesse que la vie” (Es gibt keinen Reichtum außer dem Leben), Paris, Le Pas De Côté, 2012. Ein Buch, in dem Ruskin die Grundlagen der Wirtschaft in Frage stellt und das zu einer Inspirationsquelle für viele antikapitalistische Denker wurde. ↩︎
  3. Zitiert in Tarby J., “Quand l’industrie genevoise se renforce grâce à … l’économie circulaire” (Wenn die Genfer Industrie dank … der Kreislaufwirtschaft gestärkt wird), Heidi News, 20. Juni 2023. ↩︎
  4. Die Methodik wurde 2001 von den Professoren Michael Braungart und William McDonough entwickelt und als Inspirationsquelle für Produkte, Gebäude und Produktionssysteme genutzt. ↩︎

Votations du 18 juin : OUI à la loi climat !

Le 18 juin, la Suisse doit se prononcer sur la loi climat. En tant qu’association ayant une vision de la Suisse sans déchets, ni gaspillage, ZeroWaste Switzerland se positionne en faveur de la loi sur le climat. En effet, en promouvant un mode de consommation et de production zéro déchet, nous soutenons cette loi visant à diminuer la consommation de gaz et de mazout et à nous rendre moins dépendants des importations d’énergie. Moins de combustion, moins de transport, donc moins de CO2.

Cette loi entre dans nos valeurs liées au fait de repenser sa consommation et la réduire, 2 de nos fameux 5R.

Alors le 18 juin, pour diminuer encore nos déchets et tendre toujours plus à l’objectif de neutralité climatique, VOTEZ OUI !

Plus d’information sur la campagne ici.

L’argent, Zéro Déchet, vraiment ?

Les chiffres que Jérémie Pichon cite dans son dernier livre, dans le chapitre dédié à la transition financière, sont de l’ordre de l’indécent. « Et pendant que nous éteignons soigneusement notre lumière avant de sortir de la pièce, notre argent en banque génère le principal de nos émissions carbones annuelles. Et pas une paille : 41 % des émissions totales ! »  

Comment est-ce possible ?  

Vous faites certainement partie des personnes qui ont un compte épargne. Bien que vous ne touchiez pas à cet argent, celui-ci ne dort pas ! La banque utilise ces fonds pour financer son activité économique : elle prête aux particuliers et aux entreprises moyennant rémunération (les intérêts). Une banque a donc besoin de liquidités : elle puise dans les dépôts ou en emprunte auprès d’autres banques ou des marchés financiers.  

Mais où est donc le problème ?

Par le choix de leurs placements, de nombreuses banques et institutions (assurances, fonds de pension) promeuvent une hausse des températures massives. En Suisse, l’impact climatique des banques est colossal ! 

Les faits 

les Artisans de la Transition ont démontré, dans trois rapports successifs publiés en 2016, 2018 et 2020, que le portefeuille d’actions connues de la Banque Nationale Suisse (92 milliards de francs suisses, soit 60% de ses placements en actions) était à l’origine de 48,5 millions de tonnes CO2/an. La BNS investit également dans certaines entreprises responsables de graves violations des droits de l’homme. Et elle continue à investir des milliards de francs suisses dans les Bourses mondiales sans politique de placement active pour évincer les entreprises les plus émettrices de CO2 et les moins recommandables. Pour prendre les bonnes décisions, les acteurs financiers scrutent les messages des banques centrales jusque dans leurs moindres détails.  

Sur le changement climatique, le message que la BNS envoie à toute la place financière suisse est très clair : « il n’y aurait pas de problème ».  

Et tout indique que les acteurs financiers suivent cette appréciation.  

  • Le montant des prêts que Crédit Suisse a accordé à la filière des énergies fossiles dans le monde depuis quatre ans équivaut à 1,7 fois ses fonds propres.  
  • UBS a multiplié par neuf ses investissements annuels dans le charbon en 2019.  
  • Trois quart des soixante plus grandes caisses de pension suisses n’ont aucune politique climatique.  

Le rapport de Greenpeace « Des affaires dangereuses pour le climat », publié en 2020, révèle quant à lui l’ampleur des chiffres : les deux grandes banques que sont UBS et Crédit Suisse finançaient, en 2020 toujours, directement pas moins de 93,9 millions de tonnes d’équivalents de CO2 – via le financement de 47 entreprises des secteurs du charbon, du pétrole et du gaz – soit le double des émissions de gaz à effet de serre de toute la population et de toutes les industries de la Suisse.  

Au niveau européen, l’accord de Paris sur le climat, conclu en 2015, consiste à harmoniser les flux financiers internationaux conformément aux exigences de réduction des émissions de gaz, et à soutenir un développement économique supportable pour le climat. Mais aucune autorité ne prévoit pourtant de contraindre les banques à réduire leurs émissions de gaz à effet de serre.  

Les institutions ne changeront pas toutes seules.  

Le système monétaire et financier s’est construit sur un modèle de rendement à tout prix, très pervers et qui fonctionne à notre insu, et malheureusement avec notre consentement. 

Alors que faire ? 

Interpellons nos banques ! Exigeons plus de transparence et de traçabilité, demandons où va notre argent !  

Les alternatives existent. Elles sont institutionnelles et individuelles, pratiques et associatives : elles s’appellent banques alternatives, coopératives, monnaies locales ou encore actionnariat conscient.  

Notre argent, à nous citoyen-nes, a un pouvoir infini.  

Alors plaçons-le dans des « mains » conscientes et éthiques qui veulent guider les capitaux vers des solutions qui favorisent une transition juste et écologique. 

Pour des informations plus détaillées et la liste de nos sources, vous avez la possibilité de télécharger notre guide de l’argent responsable